Impatto ambientale sempre minore per gli stabilimenti
Lo rivela il Report Ambientale: solo il 5% dell’impatto dei mangimi dipende dagli stabilimenti, il 95% riguarda altro, in particolare le materie prime
L’impatto ambientale della produzione di mangimi negli stabilimenti di Giardini Spa è molto contenuto.
Superiore quello delle materie prime agricole utilizzate dai mangimifici, un dato che negli anni si è tuttavia ridotto significativamente grazie allo sforzo dei produttori che hanno contribuito a rendere sostenibile la filiera agro-zootecnica.
Assalzoo – Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici di appartenenza di Giardini Spa, ha infatti presentato il Report Ambientale 2020.
Dalla presentazione del documento, a cui hanno partecipato i rappresentanti di Giardini Spa, emergono in particolare le ricadute positive che il settore fornisce alla filiera in termini di circolarità ed efficienza.
I produttori di alimenti per animali vogliono giocare un ruolo importante nel perseguire l’obiettivo comune di una zootecnia a impatto zero, è la parola d’ordine.
Il report, realizzato in collaborazione con LCE, contiene i risultati di un’indagine condotta su un campione di stabilimenti: “Considerando solo il processo produttivo del mangimificio, la principale fonte di impatto è l’energia e a volte gli imballaggi”, spiega Massimo Marino di LCE.
L’indagine ha valutato inoltre la carbon footprint degli alimenti per alcune filiere zootecniche: “Con riferimento all’impatto ambientale di una tonnellata di mangime, il mangimificio contribuisce per il 5% circa, tutto il resto sono materie prime”, aggiunge Marino. Considerando i grandi impianti fotovoltaici di Giardini Spa e la progressiva abolizione della plastica nei sacchi di confezionamento dei mangimi il risultato per la società di Castiglione del Lago è lusinghiero.
Proprio sulla scelta degli ingredienti il mangimista può segnare il suo contributo alla sostenibilità della filiera zootecnica. Può scegliere materie prime prodotte responsabilmente, formulare mangimi sempre più efficienti e impiegare residui di altre produzioni alimentari o prodotti non più destinati all’uomo.
Gli indici di conversione sono migliorati notevolmente: “In genere del 15% negli ultimi vent’anni. Per il pollo del 26%, negli ultimi trent’anni, e del 40% per la filiera del latte, pertanto, per produrre la stessa quantità di latte, se negli anni ‘70 e ‘80 servivano due vacche oggi ne basta una. Questo grazie allo sforzo congiunto di mangimisti, genetisti e allevatori”, segnala Assalzoo.
Fonte: Assalzoo/Agrigiornale